sabato 27 dicembre 2008

"...A Natale puoi..."

...Quello che si dice "spirito natalizio"...!

Comics vs University


...Serie di bozzetti degni di nota, non tanto per gli illustri personaggi - che non necessitano di presentazione alcuna - che sono rappresentati, quanto per il supporto cartaceo utilizzato: sul retro del foglio sorge infatti l'orario dei corsi dell'Università per questo primo semestre...
...Che volete farci, almeno così, con la scusa dei disegni, sarei stato sicuro di non perderlo...!

venerdì 12 dicembre 2008

Un Pianeta rinnovabile

...Quanto segue è qualcosa che esula un po' dalla norma di questo blog: trattasi di un articolo circa i temi dell'inquinamento ambientale e delle fonti d'energia rinnovabili, da me stilato in merito al corso di Divulgazione Naturalistica iniziato qualche giorno fa all'Università... Per una volta - dato che sempre e comunque di scrittura si tratta! - lascerò che le mie due "carriere" parallele s'incrocino su queste pagine...
Vi consiglio di leggerlo, ho fatto del mio meglio per non ridurlo ad un concentrato di informazioni scientifiche e renderlo quanto più lolliano possibile...!
Se poi proprio non ce la fate, e vi siete connessi qui nella convinzione di imbattervi in tutt'altro, passate direttamente più sotto al post successivo: almeno lo troverete senz'altro più classico...

...Che il nostro Pianeta sia da tempo in sofferenza, oramai lo si sa bene; è già divenuta una storia vecchia. Quasi un luogo comune.
Stesso dicasi delle varie – ma ad ogni modo correlate – cause che siamo soliti attribuire al fenomeno: eccessivo sfruttamento delle risorse energetiche; imminente esaurimento delle stesse; immissioni nell’ambiente di gas ed altre sostanze nocive; effetto serra; global warming. Insomma, parole alle quali siamo da sempre abituati, proprio come alle promesse dei politici ed al turpiloquio in TV, e verso le quali proviamo oramai la stessa indifferenza.
Altrettanto ridondanti sembrano infine essere le continue proposte sul come noi tutti possiamo porre rimedio alle nostre scelleratezze: basta rinunciare all’automobile, agli sprechi, alle industrie che mandano avanti la nostra economia e alle bombolette di lacca spray...
Insomma, a quello che i più identificherebbero come la nostra odierna concezione di civiltà.
E pur di non rinunciare a questo, saremmo disposti a tutto: perfino a sacrificare il Pianeta!
...Perfino ad accettare una teoria – di solito considerata mediaticamente scomoda – secondo la quale, in verità, noi uomini siamo soliti attribuirci un’eccessiva importanza nell’ auto-considerarci fautori della nostra Apocalisse, laddove in realtà, fenomeni quali il riscaldamento della Terra, con conseguenti alterazioni climatiche e scioglimento dei ghiacciai, altro non sono che il frutto di naturali eventi geologici ed astronomici ai quali, semplicemente, non possiamo sottrarci.
In altre parole: ben venga l’estinzione, purché si scampi all’eventualità di dover effettuare dei cambiamenti.

Tutto sommato, l’idea che l’Universo nella sua immensità se ne infischi delle nostre misere oasi di calore urbano è senz’altro scientificamente valida; eppure, nonostante a molti piacerebbe poterla pensare così, questo non ci autorizza a deturpare il Pianeta, per quanto limitato nelle ere geologiche possa essere il periodo che il succedersi dei Moti Astrali gli hanno concesso...
Le autorità internazionali hanno impegnato diverso tempo a prender coscienza di questa realtà dei fatti, continuando a lungo a spremere tutte le risorse energetiche possibili come se fossero infinite e a rigettare le proprie scorie nell’ambiente – come se anch’esso altro non fosse che un’infinita pattumiera – il tutto in nome della scusante del proprio sviluppo economico e progresso sociale; è stato solo alla fine degli anni ’90 che si è capito che il raggiungimento di tali obiettivi era realizzabile in ben tutt’alti modi: uno di questi è senz’altro stato la realizzazione del Protocollo di Kyoto, un trattato internazionale in materia ambiente, sulla base del quale i più di 160 Paesi firmatari si sono impegnati ad operare una drastica riduzione dell’emissione dei cosiddetti “agenti inquinanti” nel Mondo. Insomma, finalmente un gesto decisivo contro la passività oramai dilagante nei confronti dei già citati effetto serra e riscaldamento globale. Tuttavia, nonostante i larghi favori inizialmente riscossi, il Protocollo non si è mai rivelato un pieno successo: ma è proprio attraverso ciò che già possiamo renderci conto di come l’intera faccenda dietro lo sfruttamento delle risorse energetiche sia ben più sporca e nera di una macchia di petrolio al largo dello stretto di Prince Williams...
Nel 2001, anno in cui i Paesi aderenti sottoscrissero il trattato, l’America si ritirò improvvisamente dagli accordi, di colpo divenuti contrastanti con gli evidenti interessi del nuovo presidente; parafrasando Vittorio Zucconi, il sentiero di Bush verso il potere – prima semplicemente economico, poi anche politico – “è stato lastricato di dollari neri”, quegli stessi che avrebbero poi mosso e caratterizzato il suo intero governo; non è contro le ben note dinamiche della macchina politico-economica che voglio ora scagliarmi, ma mi si conceda un’osservazione: naturalisti e ambientalisti, zoologi e climatologi, scienziati di tutto il mondo da anni si arrabattano alla ricerca delle rinomate fonti d’energia rinnovabili (o alternative, in base a se ci si riferisca rispettivamente alle semplici fonti “non esauribili” – quali l’energia geotermica, idroelettrica, marina, solare, eolica... – o a qualunque altra che semplicemente non sia il petrolio – includendo così anche il nucleare), eppure queste continuano a rimanere, laddove adottate, niente di più che una sorta di cattedrali nel deserto nell’ambito del panorama industriale globale; la loro funzionalità, la loro produttività ed efficacia, i loro quantitativi in termini di consumi e di sprechi palesemente inferiori rispetto alla norma – insomma, prendendo in prestito un termine dalla zoologia, la loro eccellente fitness – sembrano essere scientificamente comprovate; ciononostante, persiste una sorta di diffidenza generale verso tale risorsa: chi è scettico nei confronti dell’effettiva portata di un eventuale utilizzo su scala planetaria; chi dubita della sostenibilità (ovvero la possibilità per le future generazioni di perdurare nello sviluppo, preservando la qualità e la quantità delle risorse in questione) delle opere; chi semplicemente punta il dito contro i troppo elevati costi d’avvio dei progetti... Tutti dubbi leciti, certo; ma a conti fatti, non sarebbe forse molto meglio iniziare ad assumerci l’onere di questi rischi, piuttosto che andare passivamente incontro alla certezza della fine delle nostre attuali risorse? In un tale contesto, il primo di questi dubbi non può quindi che essere, semplicemente, che un simile azzardo – nei confronti di quella che oramai è la nostra routine economico-sociale – rischi inevitabilmente di cozzare con gli interessi dei potenti di turno. L’impotenza di fronte a ciò è una realtà concreta e per nulla trascurabile in nome di una qualche mera ideologia; ma non per questo ci appare meno inquietante. Perché oltre ogni speculazione possibile, resta solo l’evidenza del fatto che la nostra esistenza – con la quale si sta giocando – è unica, e non di certo una risorsa rinnovabile.

...E Lollo scoprì la "mezzatinta"...!


sabato 29 novembre 2008

...Play me a song, Curtis Loew...

Ronnie era solo un ragazzetto di dieci anni, quando la linea del suo destino venne tracciata per sempre.
Curtis invece, era all’epoca un uomo già fatto e finito. Eppure si sarebbe potuto tranquillamente affermare che a nulla fossero valsi i suoi sessant’anni trascorsi vagabondando sulla Terra, se non a fare in modo che la sua vita si intrecciasse, lì ed allora, con quella di Ronnie.

Se non fosse stato per Curtis, infatti, il giovane si sarebbe senz’altro dedicato a tutt’altre attività, ben più consone ad uno spensierato sudista della sua età – quali andare a caccia di lucertole, masticare fili d’erba completamente immerso nel rossore del tramonto e con le spalle comodamente appoggiate contro la corteccia di un albero, oppure semplicemente correre per gli sconfinati campi dell’Alabama, la sua dolce casa... – anziché darsi tanto da fare, svegliandosi addirittura prima del canto mattutino del gallo, vendendo bottigliette di soda od improvvisando qualunque altro lavoretto, per racimolare un po’ di grana...
Se non fosse stato per Curtis, infatti, forse la vita di Ronnie oggi sarebbe stata diversa. O perlomeno, magari, ne avrebbe ancora una...

Non era difficile riconoscere Curtis lungo le strade del paese: il tipico viandante, dalla pelle coriacea e nera e dai capelli crespi e bianchi, entrambi tipici di chi la vita gli ha fatto il mazzo; tanto che oramai non fa nemmeno più male e si può perfino ricambiare con un sorriso. O con una canzone. Inseparabile compagno di Curtis, infatti, era il suo vecchio dobro. Quello, ed un immancabile fiaschetto di vino. Ecco tutto ciò di cui aveva bisogno per poter far sfoggio della sua arte. Ed ecco svelata la sua preziosa mercanzia, per poter acquistare la quale, Ronnie si dava sempre così tanto da fare...

In effetti, non era poi così complesso il rituale per poter ogni volta accedere a quella magia: bastavano un po’di soldi da bere e, subito, Curtis tirava su il suo dobro, lo piazzava ben fermo sulle ginocchia, ed al primo pizzicar di corde, Ronnie riusciva d’incanto a vedere in quell’uomo ciò che tutti gli altri semplicemente non potevano... Ma del resto, si sa... La gente è sempre troppo sciocca...
...Troppo persino per poter arrivare ad accorgersi che quel vecchio ubriacone lì davanti a loro... Quel vecchio ed indiscutibilmente inutile vagabondo... Non fosse in realtà altro che il miglior bluesman di sempre...

(Ma Ronnie, questo, lo vedeva – e soprattutto, lo ascoltava! – perfettamente; fu a causa di ciò che la sua sensibilità... E la sua vita... Possiamo oggi dire con quasi assoluta certezza che furono segnate da quel suo incontro... Con Curtis Loew...).

Quando alla fine per il vecchio Curtis giunse l’ora di andare, e di abbandonare dobro e fiaschetto, dicono che nessuno si fosse presentato a pregare per lui nel giorno del suo funerale... Ma del resto, come avrebbe potuto essere altrimenti? Quell’uomo aveva consacrato alla Musica la sua intera, stessa vita... E quindi, al momento della propria morte, che altro mai avrebbe potuto avere da perdere... ...Se non solo il suo caro, vecchio blues?!...

Vent’anni dopo, per Ronnie ed i suoi compari, le cose non sarebbero state troppo differenti: certo, al loro funerale ci sarebbe stata molta più gente in lacrime, e dei giovani trucidati in un disastro aereo fanno senz’altro più clamore rispetto alla morte di un vecchio vagabondo nero del Sud; tuttavia le circostanze, o chi per loro, vollero comunque che l’insegnamento e l’impronta che quell’uomo lasciò nel giovane – in quel breve periodo in cui le note delle loro vite suonarono all’unisono... Allo stesso ritmo... – unissero i due nello stesso Fato: un’intera vita consacrata alla Musica; null’altro da lasciare, se non il capolavoro del loro blues...


Tribute to Lynyrd Skynyrd


venerdì 31 ottobre 2008

mercoledì 29 ottobre 2008

Stanchezza cronica

La notte. Per alcuni, l’inizio di una seconda vita, quella vera, all’insegna degli eccessi e delle trasgressioni.
Per molti altri, semplicemente la fine di un’estenuante giornata, la vita ordinaria, quella onesta e quotidiana che ti nobilita e ti prosciuga. Una breve pausa dal fatale ciclo, in attesa di ricominciare.
Ma da un po’ di tempo, per lui, la notte era diventata qualcosa di diametralmente opposto: altro che ricominciare, ogni volta alla fine del ciclo, quando infine andava a dormire, ormai il suo ultimo pensiero era solo quello di potersi non risvegliare l’indomani mattina.

Non si trattava di una forte depressione, dovuta a chissà quale smacco della sorte, e nemmeno si potesse dire avesse già noia della vita. Era semplicemente stanco. Di una stanchezza ormai cronica, una sorta di regolare indolenza che andava trascinandosi dalle prime ore del risveglio, per tutte quelle poi a venire. E allora, di fronte a ciò, perché non – semplicemente – dormire?...

Del resto, che altre fare quando si è così profondamente stanchi?
Tanto da non avere più nemmeno le forze con cui riuscire ad affrontare le fatiche e le battaglie di sempre, per via di quell’intimo timore, quella fondamentale consapevolezza, che tanto sarà tutto inutile.
Così tanto, da non riuscire ad assaporare per davvero neppure le più piccole e le più grandi gioie, diffidandone per via di quell’intimo timore, quella fondamentale consapevolezza, che tanto sarà tutto futile.

Probabilmente è la stessa fugacità della nostra natura ad evidenziare l’ironica inutilità di tutto questo arrabattarci, tutto questo darci da fare – nel bene e nel male – secondo parametri da noi stessi costruiti, per un così breve periodo che invece non sappiamo nemmeno perché ci sia stato davvero concesso. Un tempo, per lui, questi dubbi erano assopiti dalla curiosità: un’innata curiosità e provvidenziale fiducia per tutto quanto in – misterioso – programma per l’avvenire; ma la consapevolezza, quand’anche ancora semplicemente un tarlo, una volta lì, non può essere ignorata per sempre: ed ecco che angoscia ed inquietudine presero il sopravvento. E a che serviva più, ormai, continuare il ciclo, una volta che se n’erano capito l’artificioso trucco e minate le fondamenta?

Di accelerarne la chiusura, di decidere lui il finale, però, ad ogni modo non se ne parlava, e comunque la si rigirasse, questo era dovuto alla paura: se l’avesse fatto, si sarebbe comportato da vigliacco, perché avrebbe dimostrato di non aver avuto il coraggio di arrivare fino in fondo, di sfruttare a pieno, quel – seppur misterioso – periodo concessogli; ma se anche al contrario non l’avesse fatto, state pur certi che non sarebbe stato per coraggio ed eroismo, ma perché comunque un vigliacco, che malgrado tutti i dubbi e le angosce per l’ora, ne nutriva in realtà di ben più gravi per il dopo
Fuori dal fittizio circolo vizioso dell’esistenza umana, solo per ritrovarsi invischiato in quello tortuosamente reale della sua mente. E allora, di nuovo, perché di fronte a ciò, non – semplicemente – dormire?...

Dormire. Come un’Antica ed intrinseca divinità che aveva mangiato la foglia e che s’era ribellata all’inganno; come qualcuno che, sì, finalmente ora dormiva, ma di un dormire che non è sonno, ma è morte; ma una morte che per fortuna non è eterna, ma ch’è semplicemente attesa. Attesa per prendersi il giusto tempo per poter capire; attesa di tempi migliori: quando le stelle brilleranno di una luce rinnovata, illuminando le cose sotto una nuova prospettiva, che permetterà finalmente di capire che…

Etichette

…Un tempo era molto più facile far distinzioni tra bene e male…
C’erano semplicemente il buono ed il malvagio. Il principe e l’orco. Il bravo ragazzo e quello cattivo, santo e brigante… Ma poi, al brigante, s’affiancò il ben più goliardico ragazzaccio: il tipico perditempo, quello “poco raccomandabile”, ma che in fondo non è criminale, solo un po’ ribelle… Ma quindi ovviamente, scomodo… Per quel che mi riguarda, l’unica scomodità deriva dal fatto che, da allora, un concetto inequivocabile come la ribellione, si sia servito di un po’ troppe maschere per potersi esprimere…

Negli anni ’50, la ribellione fece capolino nelle case delle docili famiglie americane, mascherata da un Re dai costumi eccentrici ed i movimenti conturbanti, che attraverso radio e televisioni andava diffondendo nuove sonorità di derivazione blues, una musica così dura e poco perbene rispetto a quanto udito fino ad allora… Le ragazze però, andavano letteralmente pazze di quel cane da caccia
Dieci anni più tardi, la ribellione attraversò l’oceano per rifarsi viva nei panni lindi e le pettinature ordinate di quattro britannici scarafaggi: ancora una volta, la chitarra dimostrò quante nuove cose poteva fare con i suoi gentili lamenti
Fu infine muovendosi al ritmo del battito di piccole ali che la ribellione assunse toni mondiali: fiori, pace, amore ed acidi. Fu probabilmente dopo di ciò, che le cose iniziarono a complicarsi…

Il rocker solca l’America da costa a costa sulla sua Electra glide fiammante; vorrebbe essere un uccello libero, ma da quanto si può sentire dall’enorme autoradio che trionfa sul manubrio, si evince che intanto sogna solo la sua dolce casa, l’Alabama
Il punk proclama l’Anarchia nel Regno Unito, ma la cosa non vale per la sua impeccabile cresta sempre in ordine; nel frattempo si lancia occhiate d’odio col suo rivale di sempre.
Il metalhead ricambia l’occhiataccia, ma è ovvio che in realtà vorrebbe solo scolarsi la sua birra in santa pace: infrangere la legge, per lui, è solo un sogno in un cassetto, ha già troppe preoccupazioni così, per via di quel suo frivolo cugino che gli rovina la piazza.
Il glamster vanta tendenze autodistruttive e sniffa tutto quanto a misura di narice, dallo zucchero del pandoro alle formiche; urla al Demonio, perché l’Angelo Caduto è il santo patrono degli eccessi e del divertimento, moderno Bacco, simbolo d’edonismo...
Ed intanto i capelloni di tutti i fronti si beccano fior di accuse di satanismo.

L’alternativo disapprova tutto ciò: la rivoluzione contro il potere va condotta aborrendo questi deplorevoli eccessi, ma distintamente impacchettati con giacchetta logora, codino ben raccolto e sciarpino per darsi con roba proletaria ed inconsueta un tono tuttavia composto, mente parla con fare intellettualoide di nichilismo e di tetraidrocannabinoli; che è un modo molto più impegnato per dire che in realtà si scassa di canne, mentre è cullato da note psichedeliche: insomma, solo un’altra crepa nel muro.
I rastafari in Italia vengono definiti punkabbestia, termine che col tempo è giunto a rappresentare la totalità di quanto definibile come alternativa sociale: nel punkabbestia troverai di tutto, dall’immancabile capello arruffato, che sia il ben definito rasta o una semplice crosta di sporcizia spacciato per tale, alle mille variabili di orecchini, piercing od extension; dai sandaletti forieri di un’aria tutta trasandata, alla maglietta dei Tool… Insomma, una vera e propria promiscuità di elementi trasgressivi, ben amalgamati – finanche “rappresi” – tra loro, se si tiene conto delle dicerie sulle scarse tendenze igieniche dei suddetti… E nossignore, quell’aroma dolciastro che emanano non è bagnoschiuma: vorrebbero alzarsi per i loro diritti, ma la verità è che sono troppo fatti e non ne hanno la forza…
Ma ad ogni modo, il vero trionfo della controcultura contemporanea, è l’emo!
Dove “emo” – mi dicono – stia per “emo-tional”. Coerente, per un gruppo di ragazzini depressi ed emaciati che proclamano lo svenamento come unica evasione dallo schifo che li circonda. Jack Skellington è il loro idolo: quando l’ha saputo, l’ossuto personaggio ha pianto lacrime amare per il rimpianto di non avere vene da potersi tagliare. Il problema di questi tizi è che non hanno capito che non si può correre attraverso il Monsone se si ha un’emorragia in corso. E pensare che i loro ispiratori erano persone così serie…
Difficile in effetti pensare a qualcuno di più serio del dark – il quale pare abbia rischiato l’attacco cardiaco una volta messo al corrente del sopracitato accostamento; ma d’altra parte, ognuno è libero di fare ciò che gli pare e, a lui, la cosa non lo sfiora per niente. Non a caso, la ribellione ha sempre preferito condurla per conto suo, senza mai spingerla all’infuori del proprio animo contorto, lontano dalle incomprensioni ed i giudizi di chi non è degno di capire: sempre meglio bruciare dall’interno.
Infine, il vero ribelle dei sobborghi, l’hip-hopper. Ben diverso dal semplice rapper, fautore unicamente di uno stile musicale, un seguace dell’hip hop si fa carico di un intero stile di vita, portavoce della rabbia di tutti coloro che sono sempre stati sotto e che alla fine hanno deciso di far sentire la propria voce. E a raffica. Ma c’è forse da pensare che la risalita dai quartieri bassi sia stata troppo rapida, e la voce della musica nera ora (de)canta la bellezza di macchine nuove, donne super-sexy e soldi. Tanti soldi, troppi, più di quanti ce ne sarebbe stato bisogno per un riscatto onesto e pulito. Ma tutto sommato, meglio essere un M.A.G.N.A.C.C.I.A. figlio di puttana che un povero perdente a vita…

Questo, signori, il quadro generale della ribellione e delle mille opportunità che oggigiorno ci offre per affiliarci al male: una lunga e studiata lista di anticonformistiche mode che hanno sedotto, risollevato, talvolta perfino messo contro e infine rigettato alla propria – se non peggiore – condizione orde di noi giovani frustrati ed incazzati che speravamo soltanto di poter alzare la voce. Peccato che oggi, il vero obiettivo si sia però perso per strada e che invece, l’unica cosa ad essersi in realtà alzata e ad esser sopravvissuta fino a noi, sia solo l’enorme quantitativo di etichette delle quali oggi siamo schiavi.
Questo, signori, il quadro generale della ribellione e del suo fallimento.

giovedì 25 settembre 2008

...Ragguardevoli bozzetti!!

...Nossignore, non si tratta ancora della già preannunciata e temuta ondata dei nuovi sketches...!!
Molto più semplicemente, trattasi di alcuni bozzetti meritevoli di nota, se non tanto per le qualità artistiche - anche se devo con una certa e malcelata autosoddisfazione compiacermi di come la caricatura di Gene, sebbene realizzata di getto e senza alcun riferimento, sia pienamente conforme a quanto avevo in mente...! - perlomeno per il fatto che (vedi numeretti e simboletti a lato...) la dicono lunga circa la qualità del mio, così per dire, tempo "dedicato allo studio", e riguardo quello che è il mio effettivo approccio alla genetica di popolazioni...!!!
Babbè, perdonate questo exploit che sa tanto di universitario nullafacente...!

La verità è che sono a lavoro su nuove tavole - nonostante mi fossi ripromesso di aspettare di iniziare inchiostrazione alla Comix prima di rimettermi all'opera, ma alla fine, lo spirito artistico ed il desiderio di libera espressione hanno prevalso...! - e che quindi, ci sarà un po' da attendere prima di un nuovo aggiornamento (semi)professionale su queste pagine...
Per il momento, vi dovrete accontentare (o se preferite, tirate un sospiro di momentaneo sollievo)...!

...You want the best, you got the best!....
Alla prossima...

venerdì 19 settembre 2008

Disegni: secondo round

...E dopo il racconto qui di sotto - concepito dai tempi dell'estate, periodo in cui la vicenda è ambientata e vissuta, ma scritto nero su bianco solo oggi, per coerenza, visto che a quei tempi ero giust'appunto impegnato a solcare i mari della vita... - eccovi subito anche due disegni caldi caldi di scanner, realizzati nell'ordine di questi due giorni, per continuare a percorrere la via del "Blog Racconti & Disegni" per la prima volta finalmente intrapresa una decina di giorni fa...

Il primo, che ieri sera m'è servito per iniziare a scaldare la matita - infatti, anche la via sketch non era stata più battuta per un po', anche in questo caso da circa i tempi dell'estate, in seguito ai quali mi sono dedicato alla tavola per il concorso Tunuè e ad alcuni disegni e vignette per amici vari ed eventuali...! - è la mia versione fumettara di Gene Simmons, bassista e cofondatore (insieme al chitarrista Paul Stanley) della storica band dei Kiss, che per quanto storica, io mi ci sono avvicinato da non più di 4-5 mesi!... E questo, proprio grazie al fumetto, nello specifico, attraverso le mille citazioni disseminate lungo le tavole dell'autore milanese Maurizio Rosenzweig... E una volta una parola è scritta con i mitici caratteri KISS, ed un'altra qualcuno c'ha la maglietta con il logo, ed un'altra ancora John Doe si ritrova ad un loro concerto... E lì è scattato qualcosa, e giù a cercare dischi, raccolte e best of... Il risultato? Che oggi mi sento in dovere di omaggiare (ma qualcuno, visti i risultati, dirà: "sfregiare") la band, anche dato che i loro pezzi sono tra l'altro praticamente stati la colonna sonora dell'estate 2008 - daglie, ancora di mezzo 'st'estate...! - attraverso il mezzo che mi ci ha avvicinato: il fumetto!

In secondo luogo troviamo un altro sketch, forse stavolta tecnicamente più ispirato: trattasi di quell'Hellboy dell'americano Mike Mignola che tempo fa mi trovai per diversi motivi - grafici e letterari - ad osteggiare, ma le cui strade si sono recentemente reincrociate con le mie: dapprima è stata solo la vignetta sul blog dell'amico e collega Lex!, ma poi mi ritrovo il film in seconda serata e - a parte l'interpretazione di Perlman, che mi ha fatto amare di più il personaggio - BAM! Cosa vedo?! Tutti quei tentacoloni e quelle divinità del caos... Insomma, una rilettura più accurata e viene fuori che Mignola è un appassionato dell'opera di H.P. Lovecraft e che Hellboy - che di botto s'instaura tra i miei comics preferiti, probabilmente a suon di pugni con la sua manona di pietra in faccia a Sandman e V...! - ne è conseguentemente pieno di riferimenti! Ancora una volta, il risultato è una mia rivisitazione del personaggio!...
Come dite?! Che è meglio che la smetto di appassionarmi a qualcosa che con i miei omaggi ho già vilipendiato Joker, i Kiss ed ora Hellboy?!
"Troppo tardi!", vi rispondo... L'ampia sfera delle mie passioni ha già inglobato, ed ora minaccia, gran parte delle meraviglie create dai (veri e pochi) geni del nostro ed altri tempi...!
(Re)State a vedere...

Jack Sparrow… "Capitano" Jack Sparrow…

Il vento gli gonfiava i lunghi capelli selvaggi e gli faceva lacrimare gli occhi. Ma quella, forse, non era colpa della velocità, ma era semplicemente la gioia.
Gioia per quell’immensa distesa che gli si parava dinnanzi.
Il mare. La strada. La sua strada.
Perché dopotutto, era questo che significava quel nome inciso sulla prua – uniposca sul telaio giallo, semicancellata dalle intemperie…
The Black Pearl non era solo una nave, un mezzo di trasporto: ma era qualcosa di più… “Ciò che la Perla Nera significa veramente è… Libertà…”.

Tutto ciò faceva automaticamente di lui il Capitano: non perché avesse con sé una ciurma a cui badare, mozzi a cui urlare ordini, o un tesoro da nascondere, da seppellire sotto le bianche spiagge della più sperduta isoletta caraibica, all’ombra di due palme incrociate a forma di X...
Molto più semplice, egli era il Capitano, perché una volta al timone non si trattava più semplicemente di scegliere se recarsi in un posto piuttosto che in un altro: un colpo al pedale d’accensione, mano destra sull’acceleratore e l’altra a spasso penzoloni, del tutto incurante della possibilità che un ostacolo potesse render necessario dover tirare il freno – dopotutto, erano pur sempre il Capitano e la sua Perla… – ed eccolo finalmente padrone della propria vita. Padrone delle proprie scelte, delle direzioni da prendere… Capitano di se stesso nell’immenso mare del destino, percorso non lineare che metro dopo metro – scelta dopo scelta, bivio dopo bivio, tempesta dopo tempesta, virata dopo virata, una volta a tribordo, quella dopo a babordo… – un po’ alla volta si rivela ai nostri occhi… E buttarvisi incontro a capofitto, con noncuranza – o forse è fiducia, ma il risultato è lo stesso – a bordo della Perla, infrangendo le onde dell’ignoto e dell’inaspettato – di quello che ci aspetta e ci tocca in sorte… Ecco, quella è la Libertà che si cela dietro quel nome.
La libertà di poter pienamente gioire mentre si solca quel mare della vita

Gli amici del Capitano lo attendevano giù alla spiaggia, premonendo di qualche minuto il suo arrivo dall’inconfondibile rumore della Perla: marmitta bucata e ferraglia sull’orlo del collasso.
Quando si vive il proprio percorso, non importa quello che gli altri scorgano all’orizzonte: che siano le vele nere di un vascello pirata o i neri pneumatici di uno scooter sgangherato…

martedì 9 settembre 2008

Per Nanni...


...Accolto in casa - chissà come, poi... - come una caricatura dell'attore Ted Danson, trattasi in realtà di una mia personale interpretazione del Joker di Brian Bolland (disegnatore, su testi di Alan Moore, di quel capolavoro che è The killing joke...) in vista dello sketch richiestomi dall'amico Nanni, a seguito della sua estatica visione dell'interpretazione del compianto Ledger ne Il cavaliere oscuro, in una calda serata d'estate in quel di Procida...
L'esito del mio lavoro, inteso come raffiugrazione di quel personaggio, sembra quindi per certi versi deludente - vista la già citata reazione dei miei! - forse proprio per il tentativo di aver osato dare una libera interpretazione all'opera di un autore che, di quel villain, aveva già a sua volta dato una propria personale interpretazione, senz'altro già di per sè lontana da quel Joker che i più ricorderanno per la serie animata o, al massimo, per l'interpretazione di Nicholson nell'oramai antica versione cinematografica di Burton... Il b/n, potrebbe essere inoltre da considerarsi altro fattore di questa non perfetta resa, venendo meno le caratteristiche facciabianca, capelliverdi, sorrisorosso e giaccaviola che pure sono dei fattori discriminanti intimamente legati al personaggio...
E allora, perchè mai inserire siffatta stampa nel mio professionalissimo blog?
Perchè nonostante tutto, l'effetto grafico generale che sembra ad ogni modo valido e l'impegno che so esserci alle spalle, mi fanno desiderare comunque di ricordare e condividere con voi questo disegno, dal quale - seppur con piacere, che sono due mesi che il mio amico aspetta e non ci sto a fa' bella figura! - so che presto o tardi mi separerò...
E quale occasione migliore, quindi, per inserire il primo disegno nel blog di uno che va vantandosi di esser anche "aspirante disegnatore"?...!!!

mercoledì 3 settembre 2008

Redenzione calcistica

“Stasera, ore 21.00, Roma-Napoli!”. La mia ragazza mi ha chiesto se il secondo biglietto dello stadio lì sul tavolo è per lei… Macché!! Le femmine a casa a lavorare d’uncinetto, mentre noi guerrieri si va là fuori a romper culi! No, no, l’altro biglietto è per quel fetentone di Daniel! Quel ragazzo ha proprio bisogno di qualcuno che lo riporti sulla giusta via, e se non ci penso io, che lo conosco da tutti questi anni… Voglio dire, sempre meglio una sana rissa domenicale che vender veleno ai ragazzini: qualche parolina di troppo, un po’ di sangue che scorre, certo, ma poi almeno finisce tutto lì – col vecchio Ste’ che, sì, fa il poliziotto, ma tanto chiude un occhio, in nome della nostra antica amicizia, che anche con lui ci conosciamo da che si era piccini… – e così nessuno si caccia in un guaio serio, come senz’altro andrà invece a finire se continua così… Sissignore, Daniel è fortunato ad averci un amico così premuroso come me! Farò di tutto per tenerlo lontano da qualunque cosa possa aver anche minimamente a che vedere con delinquenza e droga… E per questo, cosa può mai esserci di meglio di una bella serata all’insegna del calcio?!...

venerdì 22 agosto 2008

Sensibilità autoriale

Roma. Via della Magliana. Davide, Francesco ed io usciamo soddisfatti dalla nostra gelateria di fiducia; il boccone di crema al cioccolato e cocco – con accompagnamento di zabaione, ma senza panna, che il contrasto caldo/freddo mi disturba un po’ – quasi mi va di traverso, e proprio mentre nella mia mente mi compiacevo della diligenza – a me napoletanamente aliena – di auto e pedoni dinnanzi all’autorità lampeggiante del semaforo, quando vedo una giovane donna carica di buste della spesa correre incautamente verso l’autobus che sta per ripartire ignorandola, e venire travolta da una bianca Renault che avanza spedita, forte del verde del semaforo.
I miei sensi s’acutizzano dinnanzi alla scena, pronti a captare qualsiasi cosa possa far brodo per un eventuale esercizio di scrittura in classe; dagli occhi esterrefatti di Davide, colgo che anche lui sta facendo lo stesso, per trasformare in racconto gli orrori che stanno prendendo forma nella sua testa; Francesco, invece, si perde la scena perché sta giocando con Rudy, il tenero bracco che gironzola sempre giù al palazzo della Scuola a quest’ora… Meno male, o quel parruccone ne avrebbe tirato fuori un’altra storia vincente per il prossimo concorso di Manziana…
Mentre mi perdo in queste riflessioni, frutto della mia sensibilità autoriale, qualcosa mi distrae, tirandomi per la gamba: “Per favore, aiutatemi!”.
Con un calcio respingo la giovane e malconcia sinistrata: “Ehi, non mi disturbare mentre penso! Qui sto a lavorare, so’ scrittore io, che ti credi!?” …

Cuori da Pub – L’etica del tradimento secondo Nikki Sixx …

…Cioè, ragazzi, ora posso dirvelo, non immaginerete mai che cazzo di cosa assurda m’è capitata la settimana scorsa quand’eravamo in tour…

Ah, grazie, la birra al cointreau è per me…

Dicevamo?!...Ah, sì, cazzo, era in pratica la notte prima dell’esibizione, quella lì con quei fuckin’ Iron Maiden… Sto lì a letto, che cerco di prendere sonno, nonostante le formiche pippate quella sera insieme alla coca le sentissi ancora lì a zampettarmi e farmi il solletico dentro il naso… Comunque, sono lì quando sento all’improvviso un rumore alla finestra; all’inizio penso di essermelo immaginato, ma dopo qualche secondo, mi rendo conto di non essere più solo nella stanza; così sollevo un po’ la testa per vedere che cazzo succede… E vedo ‘sto puttanone che si avvicina al mio letto mezza nuda: la solita groupie, penso. La lascio fare senza opporre resistenza. In fondo, lei è davvero troppo figa!... Ed io, del resto, troppo fatto.
…Comunque, mi pare ovvio che di dormire, quella notte, non se ne parla per niente… Ma il fatto assurdo è, cazzo, quando il fottutissimo giorno dopo incontriamo quei bamboccetti inglesi dei Maiden e quel baronetto lisciato di “Bruce-Bruce” mi si avvicina e mi presenta la sua fidanzata: ragazzi, voi non ci crederete, ma… Era proprio lei! Il puttanone!

Devo dirvi la verità, quando ho realizzato che gran casino avevo fatto, ci sono anche rimasto un po’ male… Sul serio! …Voglio dire, si tratta comunque di un nostro collega, e lei l’ha trattato in quel modo, come l’ultimo degli sfigati!… Proprio una bella stronza…
Però… Accidenti men, davvero anche una gran bella scopata!!!

Onestamente nottambulando

“Signore e Signori, la Little Island Multimedia Production è lieta di presentarvi…”.
Le cinematograficamente pompose parole riecheggiavano in presa diretta attraverso il microfono della piccola camera digitale, avvezza ad immortalare feste di compleanno e recite scolastiche, più che spericolate e dinamiche sequenze notturne.
L’addetto agli effetti speciali, intanto, continuava a scaldare i suoi strumenti – un ramo di palma secco ed ingiallito, raccolto sul ciglio della strada, ma che fatto roteare a quel modo e battuto a terra con la giusta forza, creava effetti visivo-sonori di un certo impatto, se goduti attraverso il filtraggio dello schermo pixellato e dell’uscita audio della vecchia Nikon COOLPIX L3 – mentre il tecnico del suono intonava la giusta colonna sonora con il suo fischiettare potente, anche se incerto sulle note più alte. Tutti gli altri – lunga fila di credits dalle diciture più assurde ed esoteriche, da “aiuto stagista” ad “analista delle riprese” – orbitavano attorno agli addetti ai lavori, lì sulla sterminata strada adibita a set, elargendo pareri non richiesti, esponendo bruscamente dubbi circa le effettive capacità del cineoperatore, curandosi di mantenere gli esterni lontani da quel luogo di culto e – in sostanza – dando fastidio in qualunque modo giustificasse la loro presenza lì.
Ed infine, c’era lui. Il vero emblema e portabandiera dell’evento. Il protagonista, quello che nei titoli di coda figura come main character. In una parola… La star.
Che in questo caso, doveroso dirlo, fungeva anche da stuntman di se stesso.
Lo stuntman respirava profondamente, ignorando il frastuono della troupe tutt’intorno a lui, mentre con le loro cazzate cercavano di rubargli la scena finché potevano; ovvero, fino a quando lui non avrebbe fatto la sua entrata, ribadendosi come unico ed indiscusso protagonista.
Dopotutto, era lui, solo lui e nessun altro, che al segnale dei suoi tecnici, si sarebbe letteralmente lanciato nell’impresa. Lui e non loro, che rimasti dietro il raggio d’azione del teleobiettivo, non sarebbero stati consacrati alla storia. Era a questo che pensava lo stuntman – mentre ancora respirando profondamente, cercava di farsi coraggio, d’instaurare una mistica e profonda intesa con il bolide che l’avrebbe accompagnato e di trovare una motivazione che gli facesse davvero fare quanto aveva (e si era) promesso stava per fare – quando il segnale arrivò.
E dopo, furono sono lui, il suo mezzo, il vento che gli fendeva il volto e la lunga e tortuosa discesa che, metro dopo metro, gli si parava dinnanzi.

Poco dopo, una dozzina di ragazzi dall’età media che andava dai sedici ai ventitre anni, ridevano mentre, tutti goliardicamente raccolti attorno al troppo piccolo schermo della camera digitale, questa rioffriva loro lo spettacolo appena immortalato. Alle quattro del mattino, sulla piccola isola dove c’era ben poco da fare, se non solo drogarsi o ingegnarsi, quei ragazzi avevano optato per la seconda: il video del loro amico che – a bordo di una bici da bambino rotta, senza pedale e con il sellino pericolosamente impennato – si lanciava lungo la strada ripidamente inclinata alla velocità più folle che il poco nobile mezzo potesse permettere, e con una seconda persona che lo inseguiva cercando di percuoterlo con la palma, sarebbe stato motivo d’ilarità per diverse serate a venire.
Tuttavia, quella serata non fu propriamente perfetta: mentre qualcun altro andava, totalmente ubriaco, a schiantarsi con la moto in un muro, oppure a rischiare d’investire gatti e bambini a bordo di una macchina toppo potente per le incerte mani di chi ha fumato troppa erba, un’inacidita ed inaridita – o forse semplicemente ormai stanca, visti la tarda ora e l’andazzo – signora, si affacciò alla finestra piena di rabbia e non poté fare altro che prendersela con l’entusiasmo di quei ragazzi, di quegli onesti nottambuli, che si trovavano di lì per caso, solo perché avevano fatto la scelta più pulita. Al gruppetto, non restò altro che ritirarsi e – ormai un po’ amareggiati – augurarsi la buona notte (ma considerando l’ora, anche il buongiorno andava bene), dandosi appuntamento alla prossima, per un’altra notte di onesto nottambulare…
Nessuno invece disse mai nulla al bastardo che quella sera, complice qualche bicchierone di vodka, aveva intanto investito il gatto della signora.

Cuori da pub – E’ un’Italia troppo reazionaria per il rock e i fumetti…

Mezzanotte. Dopo più di due ore d’attesa, con le birre – o quel che ne rimaneva – che si erano già belle e riscaldate, finalmente arrivarono i panini.

In quella paninoteca casereccia, davanti a due fette di pane leggermente abbrustolite, trasbordanti hamburger, salsiccia, patate, insalata ed ormai indistinguibili formaggi fusi e salse varie, ed una caraffa di rossa, i discorsi vertevano sui soliti argomenti che tali ambienti e tali serate evocano: moto e motori, ragazze e sise, paranormale ed occultismo. Dopo aver elencato i consueti argomenti – i cerchi nel grano, la profezia del 21 dicembre 2012, i miti lovecraftiani, le leggende sul vecchio carcere e gli strani fenomeni di cui Jimmy Page è stato testimone durante la sua permanenza nella dimora scozzese di Aleister Crowley – furono consequenzialmente passati in rassegna i programmi televisivi che si degnassero di occuparsene: “Secondo me, il difetto principale di Voyager è che solleva tanto polverone, ma poi non da mai una risposta precisa, non approda mai ad una soluzione!”. “E’ naturale che sia così, lo scopo principale del programma è di fare spettacolo, di attirare spettatori, ed in questo, Voyager è maestro… Certo, il più delle volte non va a parare da nessuna parte, però io dico dovremmo almeno accontentarci del fatto che si prenda la briga di diffondere certi argomenti al grande pubblico… Noi altri appassionati, tanto, abbiamo i nostri mezzi per approfondire…”. E del resto era così; bastava passar sopra a certe cattive informazioni, come ad esempio che un draghetto di cera e silicone rinchiuso in un barattolo di formaldeide potesse esser spacciato per un esemplare autentico, o che esoterista – come Crowley – fosse automaticamente sinonimo di satanista

“Per me – riuscì a dire il più giovane della brigata, malgrado il boccone di cotoletta che gli roteava magistralmente in bocca – il programma migliore è Top Secret. Nel senso che… Beh, almeno non ha influenze e risvolti politici… Non siete d’accordo?!...”.Al ragazzo con la barba – quello, se non più ferrato in materia sovrannaturale, senz’altro più appassionato, e con la coda di cavallo… – andò di traverso un sorso di birra, suonandogli la cosa come la più immonda delle cazzate. E avrebbe pensato questo anche se non avesse avuto – e ne aveva! – motivi personali per avercela con il suddetto programma, il quale andava in onda, per l’appunto, proprio sulla rete a diffusione nazionale più nostalgicamente schierata.
Quanto invece alle motivazioni personali, queste risalivano, precisamente, ad una puntata trasmessa proprio qualche giorno prima, circa l’argomento “Angeli e demoni”, durante la quale, venne proposto un confronto tra vicende ultraterrene di natura celestiale – con testimonianze riguardo defunti che, dall’alto dei Cieli, proteggevano e mandavano segni ai propri cari – e, di contro, di natura infernale – con le storie di presunti veggenti e medium in presunto contatto con il mondo degli spiriti e le cronache degli orrori del clan delle Bestie di Satana.Soprassedendo rispettosamente al racconto di Massimo Boldi sulla perdita della moglie, ma il personaggio ci ha oramai abituati a troppi Natali tra tette e culi per potergli riconoscere una qualche eventuale profondità d’animo, l’attenzione del giovane fu tutta rivolta al servizio sulle Bestie, o meglio, al come la trasmissione avrebbe trattato l’argomento. E a ragione.I motivi per preoccuparsi vennero infatti tutti confermati, in quanto – in poco meno di mezz’ora di programmazione – i giornalisti erano riusciti a gettare ai maiali circa un trentennio di musica rock, nonché – e a questo erano bastate ben poche parole – addirittura almeno mezzo secolo di storia e di conquista editoriali del Fumetto. In particolare, si era sostanzialmente insinuato, se non apertamente detto, che le Bestie di Satana erano divenute tali dopo essersi aggregate spinte dalla comune passione per la musica heavy metal, con tanto di brani dei Metallica a far da sottofondo al servizio; ora – a parte il fatto che i Metallica soprattutto, con il satanismo, non ci avranno avuto a che fare più di quanto possa avercene avuto Charles Aznavour – una simile diffamazione, agli occhi del giovane, non faceva che scagliarsi gratuitamente contro quella che nel corso degli ultimi trent’anni, era andata affermandosi da semplice diramazione del rock, a genere musicale studiato, canonizzato e consacrato a tutti gli effetti – certo, anche in quest’ambito, di spostati se ne trovavano, ma erano casi isolati ed evitabili, nonché riscontrabili in qualsiasi altro tipo di genere musicale e quindi, e qui siamo dannatamente critici, classe e ambiente sociale; questo senza contare i danni che una simile e distorta diffusione di idee ed immagini poteva causare nel quotidiano ad una persona come lui: “Satanista!” si era più volte sentito dire alle spalle per la strada, alla stazione della metro, nei corridoi dell’università, e con tutti i reazionari venuti allo scoperto con il nuovo Governo, le cose non potevano che volgere al peggio.Ma il colpo di grazia era venuto dall’antropologo ospite quella sera in studio. Un bel tipo, aveva pensato il giovane appena l’aveva visto: una confezione di giacca e cravatta avvolgeva un ex-sessantottino dai capelli raccolti in una bianca coda di cavallo. Uno da cui aspettarsi un certo grado d’aperture mentale. Per questo, forse, l’infamia era stata ancora peggiore, perché risuonava di tradimento: secondo l’esimio, infatti, le fantasie perverse dei capi delle Bestie, trovavano la loro origine nel “leggiucchiare fumetti, anziché vedere un buon film” o magari, leggere un libro appropriato. Probabilmente tale affermazione altro non era che un malinconico omaggio ai tempi in cui la criminologia si reggeva sulla base dello studio dei crani e dei connotati delle persone, scuola alla quale senz’altro si rifaceva anche l’illustre psichiatra Frederic Wertham, a cui si deve, negli anni 50, la messa in croce della – allora ancora agli albori delle sue potenzialità, perdonali Padre, perché non sapevano… – Nona Arte e quindi, l’istituzione del Comics Code Authority, servizio di bigotta vigilanza che, dopo aver letteralmente marchiato albi oggi considerati come perle, se non addirittura martiri del periodo, dai collezionisti, se sopravvissuto oggi, avrebbe negato al mondo – ed all’industria cinematografica… – diversi capolavori a fumetti (lo sa l’illustre antropologo che molti buoni film sono ispirati alle graphic novel?!). Probabilmente si trattava solo di questo, ma nonostante questo, era una brutta stangata a tutto quanto di buono ci sia stato da allora ed un insulto per tutti quanti, professionisti ed appassionati, orbitino attorno al settore.Insomma, ecco perché alle orecchie del nostro ragazzo, dire che Top Secret non fosse politicamente schierata, quando si era in realtà dimostrata la perfetta incarnazione di quell’Italia ignorante e reazionaria, ancora troppo indietro per accettare tutte quelle che altrove s’erano già da tempo affermate come grandi rivoluzioni e dove essere diverso, o com’è più bello da etichettare, essere alternativo, è da considerare una pecca gravemente condannabile e perseguibile, suonava come la più immonda delle cazzate.

Gli altri due metalhead presenti al tavolo concordarono con tutto ciò, sottoscrivendo che il servizio in questione aveva addirittura causato loro qualche diverbio in famiglia, insinuando nelle menti degli ignari genitori che i propri pargoli, seguaci ed esecutori – chitarrista e bassista, per la precisione – di quella musica, potessero per questo finire con il perpetrare la via del Male…Ma quella sera, il vero Male era uno ed uno solo: ed era tutto lì raccolto ad attendere l’oramai meno allegra combriccola, appena all’infuori della paninoteca…

martedì 15 luglio 2008

Charming

New Mexico. Forse qualcuno lo ricorderà per via della piccola città di Roswell, patria di uno dei più grandi doni mai elargiti all'umanità. Nossignore, non stiamo parlando di Demi Moore, la quale ivi ebbe i suoi natali, ma del famoso episodio di quando sul suolo di questa cittadina si schiantò quello che il governo americano avrebbe poi confermato essere un "pallone aerostatico", ma che ai più piace ancora considerare come un disco volante lì misteriosamente precipitato, i cui resti - insieme a quelli dei suoi occupanti… – sarebbero ora custoditi nella fantomatica Area 51. Ad ogni modo, pallone o UFO che sia, si tratta di un evento cardine, pregno di fascino, nella storia del paranormale e dell'ufologia, nonché – come già detto – dono per la gioia di ogni sognatore; ma comunque sia, ogni notizia a riguardo è mera speculazione e probabilmente l'unica traccia aliena che mai verrà davvero rinvenuta in New Mexico è da ricercarsi qualche chilometro a sud-est di Roswell, più precisamente ad Alamogordo: nella discarica di questa città è infatti probabilmente ancor oggi possibile ritrovare qualcuna delle cartucce del fallimentare videogioco di E.T. che nell'83 vennero lì smaltite a palate! Per l'Atari, la casa produttrice di tale fiasco, dev'essere stato un colpo decisamente duro - bruciare milioni di dollari in altrettanti milioni di copie di cassettine di silicio rimaste invendute, o peggio, restituite e con malcelata riluttanza rimborsate, solo perché convinti che a puntare sul fascino che il personaggio esercitava in quel periodo, si andasse a colpo sicuro… – un'umiliazione di quelle senza alcuna via di scampo... Qualunque altro sconfitto di ogni tipo, persino un imperatore in esilio, ne sarebbe uscito meno sputtanato: basti per esempio pensare alla buon'anima di Napoleone, che addirittura durante il suo forzato soggiorno sull'Isola d'Elba, anche lì ebbe modo di trovarsi la sua valvola di sfogo, la sua consolazione, grazie all’amorevole supporto della cosiddetta dama Rapallina, la quale diede al sovrano decaduto la possibilità di continuare a professare, anche in un simile contesto di disdetta e di sciagura, la propria versatilità nell’ars amandi… Anche se, a pensarci bene, altro che consolazione, tutto sommato probabilmente è stata proprio quella la volta in cui, il Bonaparte, dev’esserci andato meglio in tutta la sua vita... Voglio dire, ad essere l’amante di un console o di un imperatore – il cui fascino risiede tutto solo nell’essenza stessa della loro carica… – son buone tutte, anzi, viene da chiedersi se il pover’uomo avesse mai conosciuto l’autenticità di un sentimento… Invece, con la dolce Rapallina – che si è tenuta lo sventurato anche quando, o meglio, proprio quando questi attraversava la più grande crisi di sempre e non era niente più di un miserabile decaduto lontano da casa – mi piace credere che colui che non aveva saputo tenersi stretto per più di cento giorni l’amore del suo popolo, fosse finalmente riuscito ad ottenere quello (di valore ancor più inestimabile) della sua donna… Un amore incondizionato. Un amore cieco……O forse l’amore di un cieco. Che a quanto pare, sembrerebbe da considerarsi il bene più prezioso al mondo. Su questo Ray Charles non aveva dubbi: per quanto riguarda la capacità di amare, i non-vedenti – così com’era lui – sono senz’altro avvantaggiati, hanno una marcia in più… La loro sensibilità è acuita, per loro l’Amore è qualcosa di autentico e viscerale, senza la minima possibilità di influenze esterne e suggestioni empiriche: Charles non avrebbe mai notato lo sporco sui vestiti del figlio, o il fango delle sue scarpette, mentre questi gli si sarebbe arrampicato addosso per abbracciarlo, ma avrebbe solo sentito nella sua piccola massa, il peso del suo amore… E poi, signori, chi di noi non ha provato l’annichilente sensazione del fallimento di un amore condizionato? Quante volte abbiamo rifiutato chi ci amava davvero, in quanto consci del fatto che il loro aspetto non era dei migliori e che c’era di meglio in giro; e quante volte, al contrario, ci siamo invece morbosamente aggrappati a chi ci dileggiava e maltrattava, solo perché ormai fisicamente innamorati, del tutto irrimediabilmente prigionieri del loro fascino… Dei loro occhi…
L’esperienza c’insegna: il potere di condizionamento che può esercitare il fascino è un qualcosa dalla portata devastante… Che si tratti di quello di un pezzo di metallo che, schiantatosi nella cittadina americana altrimenti più anonima sulla faccia della Terra (salvando Demi Moore!), è riuscito a catturare l’interesse di milioni di uomini in tutto il mondo, o di quello che le aspettative di un ingente guadagno derivante dallo sfruttamento di un film di successo possono esercitare su una casa produttrice di videogame, o di quello di un uomo di potere su decadute fanciulle dai facili costumi alla volta della loro rivalsa, la distruzione finale sembra essere una meta comune. Per fortuna, per quanto la storia sia ricca di uomini che dell’arte del fascino abbiano fatto la propria condanna, o la loro arma, lo strumento della propria ascesa o distruzione, essa ci parla anche di personaggi super partes, che si sono chiamati fuori da questi schemi così umanamente meschini, che han mangiato la foglia, che sono riusciti a strappare e a vedere oltre il velo della facciata…Se così non fosse, se non si riuscisse a vederla così, tanto varrebbe allora credere sul serio che un simbolo d’umiltà come Gandhi abbia davvero ceduto al fascino di uno showman quale Yogananda…!

Radici sul mare

Vederla ridotta così faceva uno strano effetto, tra lo squallido e il sacro. Perché se n’era andato?!
Non che fosse effettivamente tanto devastata o ridotta a un rudere, ma mostrava evidentemente tutti i segni dell’abbandono: l’abbandono non solo di una vecchia casa, la “vecchia casa al mare”, ma di un intero periodo e modo di vita. Da un lato c’era il rimpianto, la nostalgia per qualcosa lasciato andare, ma che magari sarebbe andato via comunque da sé; d’altra parte sembrava che non se ne fosse davvero andato, ma che fosse rimasto lì in quella casa, tra quelle mura che le avevano fatto da tempio. Perché se n’era andato?!
E quando la vecchia chiave arrugginita fece, un po’ a fatica, scattare la serratura da troppo rimasta inviolata, lasciando spalancare la cigolante porta, lentamente quel tempio vomitò tutti i ricordi e le emozioni che vi erano costipate; l’odore della salsedine - forte e pungente com’era sempre stato – lo pervase e copriva gli altri odori, di chiuso e di muffa, che avrebbero dominato in qualsiasi altra casa lasciata in quello stato. Perché diavolo se n’era andato?!
Quel rozzo e disincantato motociclista rivide di colpo un più giovane e sognante se stesso sdraiato sul suo antico letto con lo sguardo rivolto alla finestra, ad immaginare tutti quei luoghi che in seguito avrebbe visto; rivide i suoi amici delle varie età aggirarsi tra le stanze; li vide posare pupazzi e costruzioni ed iniziare ad armeggiare con chitarre più grandi di loro; vide la bicicletta su cui aveva imparato a viaggiare; la vide svanire nel boato di un’ Harley; ricordò i pomeriggi in compagnia delle videocassette di Walt Disney: incredibile come alla vista del cattivo di turno, riuscisse tanto agilmente a nascondersi sotto quel tavolo ora così piccolo!Si avviò verso la terrazza e sentì il rumore del mare provenire dalla spiaggia di sotto: buffo come quello che ora, dopo aver udito l’urlo dell’Oceano, gli sembrava solo un bisbiglio, un tempo fosse stato tutto il suo mondo; disegni e frasi infantili sbucavano dalle inumidite pagine dei diari e, inquietantemente, alcuni gli parve avessero più anima di quanto avrebbe poi pubblicato da grande.
Un ultimo pensiero: quanti amori erano passati tra quelle mura! Lo scambio di un fiore, l’attesa di un messaggio, lo strazio dell’abbandono, la passione più sfrenata, il senso della delusione…
Ma dell’amore vero non c’era traccia. Di colpo ricordò perché se n’era andato.
Quella casa non recava ricordo della sua prima pubblicazione. E del successo che venne poi. Ecco perché.
Per ottenere quelle cose, per coronare i sogni nati tra quelle pareti, aveva tuttavia dovuto incamminarsi e andare a cercarle altrove. Ora che le aveva trovate, tornava in Harley ad omaggiare quel vecchio mausoleo al tempo che fu.
E’ vero. Si sentiva tradito, perché in quel luogo aveva riposto tutto se stesso e tutta la sua fiducia e si era accorto tardi che aveva invece ben poco da offrire e che l’aveva ingannato. Ma non aveva potuto evitare di tornarvi.
Dopo tanto tempo, dall’alto dell’enorme pianta che era diventato, aveva finalmente trovato il coraggio di chinarsi a contemplare per un attimo le radici che avevano dato il via al tutto…

venerdì 4 luglio 2008

Via Casa Rotta

Ogni giorno, per tutti questi anni, lo stesso tratto di strada. Ormai non dovrebbe farmi più alcun effetto, eppure ancora oggi, tutte le volte – nel mio continuo andirivieni – che passo per di lì, sono emozionanti come la prima… Anche se in modo diverso: il fascino per quel luogo sconosciuto, che più tardi avrei imparato a chiamare casa, è stato poi, al contrario, sostituito dall’evocatività di un continuo flusso di ricordi: ogni pietra, ogni filo d’erba, ogni muro di quella strada è stato testimone di qualcosa; e questo l’ha reso degno di una certa intimità e familiarità.A cominciare da ciascun gradino. Infatti, è già quando sto semplicemente scendendo le scale di casa, che i primi ricordi mi saltano addosso: ricordi di quanti – amici, parenti, cani ed un gatto – negli anni sono anch’essi passati per quelle scale; scalini come quelli di una volta, ciascuno alto come due di qualunque altro condominio; ricordo quante volte, all’inizio, ho temuto di non farcela, aggrappato alla ringhiera per paura di cadere; e quante volte poi – una volta tanto agile ed abituato da farli a due a due! – avrei invece dovuto esser io a tranquillizzare qualcun altro che neanche lui sarebbe caduto…Portandomi con un balzo dall’ultimo gradino alla terrazza, il carosello prosegue. Davanti a me, due figure mitologiche della mia vita: una mountain bike in ottimo stato – la precedente me l’ha portata via il peso di una gru… – ed una carcassa di motorino; buffo pensare come quella bici scintillante rappresenti in realtà solo un vecchio passo delle mia vita, mentre invece il nobile destriero con cui abitualmente mi muovo, sia quel vecchio scooter giallo e sferragliante, che alla fine di ogni giro mi costringe ad accertarmi che tutti i pezzi – quelli essenziali, almeno – siano ancora al loro posto.La mano, o meglio, il piede del padrone fa il suo lavoro: con un ritmo soltanto a me noto, inizio a prendere a calci il pedale di avvio, come un batterista che dia alla band il tempo per il prossimo pezzo. One…Two… One, two, three, four... Il motorino mi risponde, attaccando con il suo gassoso assolo. Il cortile si riempie di una coltre nera, dalla quale lo scooter ed io insceniamo un’uscita alla Lorenzo Lamas quando sbuca fuori dalla nebbia all’inizio della sigla di Renegade.Pochi metri e sono alla discesina – anch’essa in effetti, una chimera alquanto mitologica… – che immette alla strada: mentre, sfruttando il peso del mezzo, mi ci lascio scivolare sopra, penso infatti che anche quello, del resto, è un luogo pregno di ricordi. Ricordi dolorosi……Ricordi di quando quel dannato scivolo – sempre dissestato, accidenti a lui! – mi costò una bella distorsione alla caviglia, proprio il primo giorno sufficientemente caldo da farmi smettere i miei fidi – e protettivi – stivali, in favore di un paio di Nike ben più fresche, ma anche così dannatamente leggere, così sottili, da non riuscirci più a camminare!Ricordi di quando invece tentai di affrontarlo in salita con la mia bici e quella bastarda mi si bloccò proprio a metà, facendomi cadere sotto il peso di un’involontaria impennata.Ricordi di quando, in cima ad esso, i miei amici videro un minaccioso cane che li puntava: se solo mi avessero lasciato spiegare che quel cane lo conoscevo e che era tutto a posto, invece di lanciarsi in una matta corsa che gli valse solo di venire effettivamente inseguiti…!Ricordi che ad evocarli tutti, il tempo di percorrerla, quella discesina, non basta; ed infatti, eccomi già in strada, di fronte al muro di casa dell’amico Gianni. Chissà se porta ancora addosso i segni di quella volta che – ancora poco pratico – mi ci schiantai contro con la bici…
…Contro il muro, non contro Gianni!
Per fortuna quei tempi pericolosi – per chi mi stava intorno – in cui andare sulle due ruote era per me ancora un’avventura nuova e misteriosa, erano finiti. Proprio lì, in quegli stessi e pochi metri di strada in cui erano iniziati… A questo penso ogni volta che passo di fronte ad una macchina – da sempre, perennemente parcheggiata lì – malconcia già da prima di divenire, in passato, la vittima prediletta della mia inesperienza ciclistica.
…Ogni giorno, per tutti questi anni, lo stesso tratto di strada. Ormai non dovrebbe farmi più alcun effetto… Eppure qualche volta, ancora succede qualcosa di nuovo, mentre io scopro un’altrettanto nuova – ma non per questo, per forza piacevole… – sensazione: come se su di un intenso mosaico, della cui immutabilità credevo di essere totalmente certo ed alla quale ero abituato, fosse venuto meno un tassello, un dettaglio piccolo, ma la cui stonatura risalta subito al mio occhio assuefatto alla perfezione. Oggi, passando sotto quella finestra, la vedo per la prima volta chiusa, e per la prima volta, passandoci sotto, non rallento, perché non vi è nessuno affacciato da salutare.Al suo funerale, sentivo sì, che qualcosa di triste era successo, ma l’esistenza su questa Terra, si sa, segue i suoi cicli ed io non credevo che la morte di un vecchietto di paese potesse aver troppa presa sulla mia giovane vita di vacanziero dalla città, isolano dell’estate e dei fine settimana.E’ stato invece solo quando sono passato sotto quella finestra chiusa che mi sono reso conto dell’effettiva perdita e ho messo a fuoco che, nonostante la serenità poi ritrovata, quella via non sarebbe stata più la stessa. Come se fosse rimasta orfana del suo Santo patrono, del suo protettore; di nuovo, una figura mitologica, che – metà uomo e metà finestra… – dall’alto del suo regno vegliava sulle vite di noi passanti, rivolgendoci un sorriso, un saluto, una previsione del tempo – pregna di quella tipica consapevolezza, saggezza di paese, dettata da un’esperienza che sa di mare o di montagna… – e, quando riusciva a leggere dentro di noi i nostri malesseri, magari anche prima che fossero chiari a noi stessi, la giusta parola di conforto.Ma ora basta, la mia giovane mente s’è soffermata anche troppo su questo genere di pensieri e poi, devo concentrarmi sulla guida del “bolide”. Lo Scarabeo giallo richiama la mia attenzione con un CLANG che parte dal cavalletto ed io mi rendo conto che la strada è quasi finita e che presto dovrò svoltare. Metto la freccia – anche se sto solo io e so che non serve, ma preferisco tenerla come buon’abitudine… – e controllo che da sinistra non salga nessuno. Ancora una volta, ma con una nuova emozione nel cuore, esco con una manovra trita e consumata da quella via dal nome strano – che suona come qualcosa del tipo “Casa”… “CasaRotta”… Riferendosi, qualcuno mi ha detto, alla fatiscente abitazione di una strega che viveva lì… – ma che io ormai, chiamo semplicemente casa

Hello! Hurray!

Salve! Urrà!”. Che lo spettacolo inizi. Io sono pronto.Qualcuno potrà credere che per uno come me, che sono quarat’anni che si esibisce, uno spettacolo valga l’altro e che sia ormai solo una questione di mestiere, di routine.“Non posso avere un mestiere perché non ho una macchina…”.
Ma non è così. Non si tratta di un lavoro come un altro; quando salgo su di un palco sono ben consapevole di non essere un operaio che va in fabbrica a fare la stessa cosa per otto ore di fila, o un conducente d’autobus che si appresta a percorrere per l’ennesima volta il solito tragitto, e nemmeno uno showman televisivo che va in studio a registrare il suo bell’episodio di trasmissione per poi non pensarci più fino alla settimana prossima.“E come fredde macchine marciamo avanti, avanti, avanti e avanti…”.Nossignore, non è la stessa cosa: ogni singolo concerto è un evento a sé stante, unico ed irripetibile.
Perché so bene di aver sempre a che fare con persone diverse – “Benvenuti nel mio incubo…” – e che, per quante volte io possa essermi già trovato sul palco, sotto di esso troverò sempre qualcuno per cui sia invece la prima (o al massimo la seconda!) e che per quelle persone venute lì per me, per cantare insieme le nostre canzoni, quel ricordo sarà comunque indelebile… E se proprio dev’essere così, tanto vale allora che io faccia del mio meglio affinché sia pure piacevole, dato che se lo porteranno dietro a vita!“Io posso rendere reale qualunque vostro sogno…”.
E poi, a dirla tutta, non è solo per i miei fan che m’impegno a rendere uniche le loro serate con me… Anzi, a dire il vero, non sono nemmeno certo di poter effettivamente parlare di “impegno”… Tutto sommato, la verità è che mi viene naturale vivere sul serio ciascun live… Dopotutto, è anche una questione grammaticale, immagino…! Voglio dire… Oltre la maschera, oltre il trucco che ricopre il mio volto, c’è solo un uomo che canta le sue canzoni… “Qualunque maschera può rompersi…”.E quelle canzoni sono state scritte in particolari momenti della mia vita; ciascuna rievoca le sensazioni e le immagini, l’emozioni e le idee di qualche preciso periodo… Cantarle così di seguito così come avviene ad un concerto, è quindi anche un modo per ritirare fuori, per rivivere quei periodi… E metterli a confronto con il come mi sento in quel momento… Può capitare che in due serate diverse possa trovarmi a cantare lo stesso pezzo… E la prima volta pensare: “Dio! Ma che diavolo mi passava per la testa quando ho scritto questa roba!?”… Poi però magari la seconda volta sto meglio con me stesso, ho recuperato lo spirito di quei tempi e mi ritrovo a compiacermi: “Sissignore! Questo è senz’altro il brano migliore che abbia mai fatto!”.
In sostanza, quello che voglio dire è che non potrò mai finire col considerare l’esibirmi come un servizio d’ufficio, perché ogni volta che mi trovo a cantare, mi scopro a sentirmi parte integrante di quel preciso evento e di un’emozione unica.…Prendiamo per esempio… Questa sera stessa! Sono qui che canto per un pubblico giovane, che vuole solo il me più recente, ed è quello che stanno avendo.“E’ proprio un mondo brutale…”.Testi duri e musica incazzata. Così sia. Soddisfo la loro rabbia, la loro sete di casino.
Ma presto, li deluderò di brutto. Perché farò una cosa per me.
Certo, gli darò un duro colpo, li vedrò un po’ persi, un po’ disorientati per via del cambio di solfa, ma in verità non me ne importa poi più di tanto. Se sono davvero miei fan apprezzeranno anche questo, mentre per quello che mi riguarda, adesso c’è solo una cosa che conta…
Mio figlio è qui che mi ascolta. So che questa è davvero una pessima serata per lui, la ragazza l’ha mollato ed ora lui è distrutto. Ed è per questo che è qui…E’ qui perché sa che io potrei fare qualcosa per lui...
E’ qui perché sa che su questo palco, non c’è l’acclamata rock star di sempre, ma solo un padre che vede suo figlio soffrire e che sa come tirarlo su; sa cosa vuole sentirsi dire.Lo sa perché ci è gia passato prima di lui… A suo tempo…
Mio figlio è qui perché tacitamente mi ha fatto una richiesta: ed io so cosa cantare…“Forse potrei perdere la ragione; forse potrei perdere la testa… Ma una cosa non la farò mai: ingoiare il mio orgoglio tornando strisciando da te…”.Una lacrima segna una riga, sciogliendo il trucco da zombie, sul volto di una rock star…

Tribute to Alice Cooper

Cocaina di grano tenero TIPO 00

“Onestamente mi sembra eccessivo tutto questo sbattersi per un po’ di farina”...“Se sia eccessivo o meno, lo lasci decidere a noi, Doc…”.
Andavano avanti così già da un paio d’ore, i due uomini in quell’asettica sala da interrogatorio del dodicesimo distretto. Sarebbe stata una scena alquanto comune da vedersi tra quelle parerti, se non fosse stato per alcuni rilevanti particolari: l’interrogato non era infatti l’ennesimo delinquentello di quartiere pizzicato mentre tentava di forzare lo sportello di un’auto, bensì l’esimio dottor Lawrence – per qualcuno “Larry”… – Moore, gastroenterologo specializzato, mentre lo sbirro che lo teneva sotto torchio era per l’appunto uno dei suoi più assidui pazienti, per via delle ulcere che da alcuni mesi lo tormentavano…
“E anche a parlar di farina, me ne guarderei bene per il momento…”.L’agente della narcotici Thompson si era ormai abituato, a seguito delle innumerevoli visite presso lo studio del medico, alla curiosa peculiarità di quest’ultimo di ritrovarsi costantemente cosparso di farina: i capelli ne erano sempre intrisi, mentre quantità più o meno modeste a seconda dei giorni erano solite spargersi dal bianco camice con il quale, se vi fossero rimaste su, avrebbero stipulato un interessante mimetismo… Quando un giorno, oramai che vi era più confidenza tra i due, l’agente pensò di chiedere spiegazioni circa il frumentario fenomeno, ne ottenne una piacevole confidenza circa le abitudini alimentari dell’esimio: non molto lontano dallo studio, infatti, vi era la bottega di Elvira, una giovane pizzettara italiana, che aveva fatto relativamente fortuna lì negli States, grazie alla sua folkloristica maestria gastronomica; era lì quindi, per motivi di praticità, nonché di buon gusto, che il dottor Moore era solito recarsi quotidianamente per il pranzo, riportando poi con sé, sotto forma di farina, i residui di quell’anfratto di bella Italia…

L’agente Thompson fu però lasciato all’oscuro dell’aspetto forse più importante – ma ovviamente più intimo e riservato… – della faccenda, il quale la diceva ancor più lunga circa le modalità d’assorbimento della bianca polvere, nonché riguardo ai gusti del nostro dottore, andando ben oltre quelli di carattere prettamente culinario… Questa seconda parte della storia ci rivela infatti che per quanto Moore fosse assiduo frequentatore della piccola sopraccitata bottega, lo fosse ancor più – e con maggior zelo – del relativo retrobottega, il che dovrebbe chiarirci qualcosa anche circa l’iden-tità di una di quei pochi eletti a potersi permettere di appellare il rispettabile dottore con il nomigno-lo di “Larry”...
Sembrava una democratica storia d’amore alla Sabrina, quella che puntualmente, all’orario di chiusura pomeridiana, si consumava nel retro del negozio tra il dottore e la pizzettara; anzi, lì – in mezzo a quell’elementare profumo di grano e pomodori, in quella grotta che nella tenue oscurità si sarebbe detta scavata nel tufo se solo si fosse per un attimo persa la concezione della futuristica metropoli che invece incombeva all’esterno – non avevano nemmeno più importanza classi sociali, lauree con titoli di studio, umili origini e trascorsi da immigrati… L’unica cosa vera era una passione che aveva la forma della farina selvaggiamente attaccata ai vestiti…

…Ovviamente finito l’amplesso, ’ste boiate da romanzo estivo non se le scende più nessuno.
Non è difficile immaginare il seguito: l’esimio dottore che se ne torna allegro allo studio dopo una sveltina con la sua geisha italiana e lei, povera illusa, che se ne resta con le pezze al sedere a impastare pizze… Ed era per questo che era venuta fin lì?... Sarebbe stato questo il suo Grande Sogno Americano?! Non si pensi che Elvira fosse la tipa ruffiana ed arrampicatrice da tenersi il dottore nella speranza di un futuro rendiconto economico e sociale, per carità, ma qui si trattava di pura dignità ed orgoglio personale: non si era mai aspettata alcun grande riscatto, ma ormai era semplicemente stufa di esser stata presa in giro così per tutto questo tempo… E il suo Larry era stato incredibilmente fesso – o forse solo scialbamente americano… – ad attirarsi addosso la vendicativa ira di un’italiana: donne fottutamente passionali, quelle…
Il giorno che l’agente Thompson portò Larry – pardon! - il dottor Moore al commissariato, i due si erano dati appuntamento allo studio per una visita nel primo pomeriggio – ovviamente Elvira era a conoscenza di ciò, e questo è bene tenerlo presente, affinché non si creda che tra i due amanti non vi fosse il minimo dialogo, nonché per l’importanza che avrà nella nostra storia… – praticamente subito dopo pranzo. Inutile precisare che, come sempre, il nostro si era già prontamente recato dalla sua bella; come sempre avevano consumato nel laboratorio della bottega; e come sempre c’era stato un gran spargersi di farina… L’unica cosa innovativa era che in quest’ultima, quel giorno, c’era qualcosa di diverso: una nuova ricetta ideata dalla bella Elvira… Il caso, o chi per lui, volle che ad accorgersi di tale variante non fu il diretto – e cosparso – interessato, bensì il suo paziente, il cui fiuto – e qui non parliamo di buon gusto, ma di mestiere… – notò qualcosa di stranamente stupefacente nella prima ondata di quella che doveva essere un’ormai consueta serie di nevicate…

Al dottor Moore, nonché al ligio – per quanto suo oramai affezionato paziente – agente Thompson, non parve vero quando giunse il verdetto della scientifica: la storia del medico e della farina, da quella buffa ma piacevole singolarità qual era nata, si accingeva a degenerare…
Il giorno dopo, i giornali avrebbero parlato dell’esimio professore, venerandissimo dottore, arrestato per uso e possesso di cocaina; l’agente della narcotici Thompson sarebbe stato elogiato per la maestria con cui avesse affrontato la faccenda malgrado il rapporto professionale ed umano che lo legasse al suo curatore. Ai piani bassi, una bella e vendicativa pizzettara avrebbe reagito con un sinistro e compiaciuto sorriso nel leggere la notizia; poi avrebbe accartocciato il giornale e lo avrebbe usato per alimentare il forno…

Joke penalty

“Quella dannata metro è in ritardo” pensò. Ma a dire il vero, poco importava.
“Accidenti, farò tardi all’università”. Ma in effetti non era tanto grave…
Dopo una ventina di minuti di imprecazioni da scandalizzare tutti gli altri aspiranti viaggiatori nella stazione e bestemmie da far grattare le palle al Padre Eterno, il treno arrivò stridendo. Era ora.
Entrò e si sistemò affianco alla porta che sapeva sarebbe rimasta chiusa fino alla sua fermata e dove nessuno gli avrebbe dato fastidio con insistenti “Scende alla prossima?” e nessun vecchio avrebbe elemosinato il posto. Cercò con lo sguardo qualche altro collega (universitario? Ma no, ritardatario!) o qualsiasi altro conoscente con cui chiacchierare, o qualunque altra cosa catturasse la sua attenzione e lo distraesse durante la corsa… Per il momento niente in vista, ma del resto non era un problema, dato che i suoi progetti per dopo le lezioni erano motivo d’evasione più che sufficiente… Tuttavia, quando alla fermata successiva il vagone si iniziò a svuotare, lo notò: il tizio col giornale. Per eccellenza, la prima fonte d’informazione quotidiana sulle ultime novità nel mondo…! In prima pagina: “L’Italia dice no alla pena di morte”.
“Che fesseria”, pensò. “Quanto buonismo”, si disse, col cinismo e il disincanto a cui i tanti mostri, assassini, psicopatici e preti pedofili rimasti impuniti lo avevano portato… Con un sistema giudiziario ridotto a una barzelletta, come ci si poteva meravigliare che le cose andassero così di merda?…
Ma fu un pensiero che a fatica sopravvisse alla quarta fermata, perché, in fin dei conti, diciamocelo, ma che gliene fregava davvero?? I problemi di un paese allo sfacelo erano così futili e sembravano tanto distanti di fronte al pensiero che presto avrebbe visto lei…
“Lei” l’aveva conosciuta all’Accademia, frequentavano lo stesso corso di grafica e in nome di Dio, era davvero stupenda! Spiccava in maniera impareggiabile tra le mezze alternative figlie di papà che solitamente caratterizzavano quell’ambiente e lui non era, com’è ovvio a dirsi, il solo ad essersene accorto: doveva puntualmente scontrarsi con i vari artisti scapestrati che accorrevano a lei, anche loro innamorati persi o forse semplicemente incuriositi da cotanta novità, di questa alternativa semplicità tra l’alternativo conformismo di sempre… Da un po’ di tempo era incredibilmente riuscito a trovare un punto di contatto e quel giorno aveva finalmente trovato il fegato di tentare un approccio più diretto. Chiedere il numero, un appuntamento, cose così insomma: le più difficili. Ma in ogni caso, quel giorno avrebbe soltanto dovuto seguire un paio di corsi in facoltà e poi di volata da lei all’Accademia, a realizzare i suoi sogni…
…Quando arrivò, l’aria gli si fermò nei polmoni e quando si decise a uscirne, il suo ritardo non aveva nulla da invidiare alla metro di quella mattina… Paonazzo in volto, increduli occhi sgranati, così appariva quando la vide tra le braccia di un altro; e non di un altro qualsiasi, ma di quello a cui fino all’altro giorno aveva confidato ciò che provava per lei, quello con cui si era sfogato per la propria incapacità di stabilire un contatto, quello che aveva finto di essere suo amico… Quando li vide baciarsi, seppe solo pensare che forse era meglio che lei se ne andasse, prima di agire: non voleva che lo vedesse così, non voleva apparirle come un mostro: ma in fondo sapeva già cosa fare…
Li vide salutarsi, seguì lui quando si allontanò e aspettò che voltasse l’angolo… “Giuda!” fu l’unica parola che si degnò di rivolgergli: un attimo dopo gli era addosso; il pestaggio fu alquanto breve, gli premeva relativamente poco di vederlo sofferente e sanguinante: gli serviva altro per sentirsi appagato, era un’altra la vendetta di cui aveva bisogno; trattandosi di un corso di grafica, una matita, il suo fedele portamine, gli sembrò lo strumento più adatto; fu a questo che pensò quando gliela piantò nella giugulare.
Il seguito ce lo si può immaginare, lo abbiamo visto tante vote sul giornale o al Tg Com…
Non era capace di intendere e di volere, Vostro Onore, la vista del suo amico che lo tradiva dev’essere stata shockante, Vostra Grazia, del resto, capirà, sono ragazzi, Signor Giudice, non c’è bisogno di essere severi, è una generazione di sbandati, non hanno modelli e del resto è anche colpa nostra, con la società che gli offriamo, si tratta di prodotti che noi stessi creiamo e poi, Vossignoria Illustrissima, l’ergastolo, così giovane, con una vita davanti, ma mi sembra eccessivo, per carità, al massimo 16 anni, che se pensiamo che presto libereranno il signor Manson, allora, per par condicio, diverranno una decina, al massimo 4 con l’indulto, che se poi apriamo i nostri cuori e pensiamo che in fondo l’ha fatto per amore…
Della prigione non vide neanche l’ombra, anzi, finito il processo trovò uno sponsor che gli permise di pubblicare un libro e addirittura, “lei” finì anche per sposarlo, del tutto rapita, conquistata, dal suo gesto di amore estremo…
Che buffo, si disse quando in seguito si ritrovò a pensare quanto perfetta fosse diventata la sua vita… Proprio quella fatidica mattina era stato così fascista da ritenersi favorevole alla pena di morte… Pensa se gli avessero dato retta…!!!