venerdì 31 ottobre 2008

mercoledì 29 ottobre 2008

Stanchezza cronica

La notte. Per alcuni, l’inizio di una seconda vita, quella vera, all’insegna degli eccessi e delle trasgressioni.
Per molti altri, semplicemente la fine di un’estenuante giornata, la vita ordinaria, quella onesta e quotidiana che ti nobilita e ti prosciuga. Una breve pausa dal fatale ciclo, in attesa di ricominciare.
Ma da un po’ di tempo, per lui, la notte era diventata qualcosa di diametralmente opposto: altro che ricominciare, ogni volta alla fine del ciclo, quando infine andava a dormire, ormai il suo ultimo pensiero era solo quello di potersi non risvegliare l’indomani mattina.

Non si trattava di una forte depressione, dovuta a chissà quale smacco della sorte, e nemmeno si potesse dire avesse già noia della vita. Era semplicemente stanco. Di una stanchezza ormai cronica, una sorta di regolare indolenza che andava trascinandosi dalle prime ore del risveglio, per tutte quelle poi a venire. E allora, di fronte a ciò, perché non – semplicemente – dormire?...

Del resto, che altre fare quando si è così profondamente stanchi?
Tanto da non avere più nemmeno le forze con cui riuscire ad affrontare le fatiche e le battaglie di sempre, per via di quell’intimo timore, quella fondamentale consapevolezza, che tanto sarà tutto inutile.
Così tanto, da non riuscire ad assaporare per davvero neppure le più piccole e le più grandi gioie, diffidandone per via di quell’intimo timore, quella fondamentale consapevolezza, che tanto sarà tutto futile.

Probabilmente è la stessa fugacità della nostra natura ad evidenziare l’ironica inutilità di tutto questo arrabattarci, tutto questo darci da fare – nel bene e nel male – secondo parametri da noi stessi costruiti, per un così breve periodo che invece non sappiamo nemmeno perché ci sia stato davvero concesso. Un tempo, per lui, questi dubbi erano assopiti dalla curiosità: un’innata curiosità e provvidenziale fiducia per tutto quanto in – misterioso – programma per l’avvenire; ma la consapevolezza, quand’anche ancora semplicemente un tarlo, una volta lì, non può essere ignorata per sempre: ed ecco che angoscia ed inquietudine presero il sopravvento. E a che serviva più, ormai, continuare il ciclo, una volta che se n’erano capito l’artificioso trucco e minate le fondamenta?

Di accelerarne la chiusura, di decidere lui il finale, però, ad ogni modo non se ne parlava, e comunque la si rigirasse, questo era dovuto alla paura: se l’avesse fatto, si sarebbe comportato da vigliacco, perché avrebbe dimostrato di non aver avuto il coraggio di arrivare fino in fondo, di sfruttare a pieno, quel – seppur misterioso – periodo concessogli; ma se anche al contrario non l’avesse fatto, state pur certi che non sarebbe stato per coraggio ed eroismo, ma perché comunque un vigliacco, che malgrado tutti i dubbi e le angosce per l’ora, ne nutriva in realtà di ben più gravi per il dopo
Fuori dal fittizio circolo vizioso dell’esistenza umana, solo per ritrovarsi invischiato in quello tortuosamente reale della sua mente. E allora, di nuovo, perché di fronte a ciò, non – semplicemente – dormire?...

Dormire. Come un’Antica ed intrinseca divinità che aveva mangiato la foglia e che s’era ribellata all’inganno; come qualcuno che, sì, finalmente ora dormiva, ma di un dormire che non è sonno, ma è morte; ma una morte che per fortuna non è eterna, ma ch’è semplicemente attesa. Attesa per prendersi il giusto tempo per poter capire; attesa di tempi migliori: quando le stelle brilleranno di una luce rinnovata, illuminando le cose sotto una nuova prospettiva, che permetterà finalmente di capire che…

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…Un tempo era molto più facile far distinzioni tra bene e male…
C’erano semplicemente il buono ed il malvagio. Il principe e l’orco. Il bravo ragazzo e quello cattivo, santo e brigante… Ma poi, al brigante, s’affiancò il ben più goliardico ragazzaccio: il tipico perditempo, quello “poco raccomandabile”, ma che in fondo non è criminale, solo un po’ ribelle… Ma quindi ovviamente, scomodo… Per quel che mi riguarda, l’unica scomodità deriva dal fatto che, da allora, un concetto inequivocabile come la ribellione, si sia servito di un po’ troppe maschere per potersi esprimere…

Negli anni ’50, la ribellione fece capolino nelle case delle docili famiglie americane, mascherata da un Re dai costumi eccentrici ed i movimenti conturbanti, che attraverso radio e televisioni andava diffondendo nuove sonorità di derivazione blues, una musica così dura e poco perbene rispetto a quanto udito fino ad allora… Le ragazze però, andavano letteralmente pazze di quel cane da caccia
Dieci anni più tardi, la ribellione attraversò l’oceano per rifarsi viva nei panni lindi e le pettinature ordinate di quattro britannici scarafaggi: ancora una volta, la chitarra dimostrò quante nuove cose poteva fare con i suoi gentili lamenti
Fu infine muovendosi al ritmo del battito di piccole ali che la ribellione assunse toni mondiali: fiori, pace, amore ed acidi. Fu probabilmente dopo di ciò, che le cose iniziarono a complicarsi…

Il rocker solca l’America da costa a costa sulla sua Electra glide fiammante; vorrebbe essere un uccello libero, ma da quanto si può sentire dall’enorme autoradio che trionfa sul manubrio, si evince che intanto sogna solo la sua dolce casa, l’Alabama
Il punk proclama l’Anarchia nel Regno Unito, ma la cosa non vale per la sua impeccabile cresta sempre in ordine; nel frattempo si lancia occhiate d’odio col suo rivale di sempre.
Il metalhead ricambia l’occhiataccia, ma è ovvio che in realtà vorrebbe solo scolarsi la sua birra in santa pace: infrangere la legge, per lui, è solo un sogno in un cassetto, ha già troppe preoccupazioni così, per via di quel suo frivolo cugino che gli rovina la piazza.
Il glamster vanta tendenze autodistruttive e sniffa tutto quanto a misura di narice, dallo zucchero del pandoro alle formiche; urla al Demonio, perché l’Angelo Caduto è il santo patrono degli eccessi e del divertimento, moderno Bacco, simbolo d’edonismo...
Ed intanto i capelloni di tutti i fronti si beccano fior di accuse di satanismo.

L’alternativo disapprova tutto ciò: la rivoluzione contro il potere va condotta aborrendo questi deplorevoli eccessi, ma distintamente impacchettati con giacchetta logora, codino ben raccolto e sciarpino per darsi con roba proletaria ed inconsueta un tono tuttavia composto, mente parla con fare intellettualoide di nichilismo e di tetraidrocannabinoli; che è un modo molto più impegnato per dire che in realtà si scassa di canne, mentre è cullato da note psichedeliche: insomma, solo un’altra crepa nel muro.
I rastafari in Italia vengono definiti punkabbestia, termine che col tempo è giunto a rappresentare la totalità di quanto definibile come alternativa sociale: nel punkabbestia troverai di tutto, dall’immancabile capello arruffato, che sia il ben definito rasta o una semplice crosta di sporcizia spacciato per tale, alle mille variabili di orecchini, piercing od extension; dai sandaletti forieri di un’aria tutta trasandata, alla maglietta dei Tool… Insomma, una vera e propria promiscuità di elementi trasgressivi, ben amalgamati – finanche “rappresi” – tra loro, se si tiene conto delle dicerie sulle scarse tendenze igieniche dei suddetti… E nossignore, quell’aroma dolciastro che emanano non è bagnoschiuma: vorrebbero alzarsi per i loro diritti, ma la verità è che sono troppo fatti e non ne hanno la forza…
Ma ad ogni modo, il vero trionfo della controcultura contemporanea, è l’emo!
Dove “emo” – mi dicono – stia per “emo-tional”. Coerente, per un gruppo di ragazzini depressi ed emaciati che proclamano lo svenamento come unica evasione dallo schifo che li circonda. Jack Skellington è il loro idolo: quando l’ha saputo, l’ossuto personaggio ha pianto lacrime amare per il rimpianto di non avere vene da potersi tagliare. Il problema di questi tizi è che non hanno capito che non si può correre attraverso il Monsone se si ha un’emorragia in corso. E pensare che i loro ispiratori erano persone così serie…
Difficile in effetti pensare a qualcuno di più serio del dark – il quale pare abbia rischiato l’attacco cardiaco una volta messo al corrente del sopracitato accostamento; ma d’altra parte, ognuno è libero di fare ciò che gli pare e, a lui, la cosa non lo sfiora per niente. Non a caso, la ribellione ha sempre preferito condurla per conto suo, senza mai spingerla all’infuori del proprio animo contorto, lontano dalle incomprensioni ed i giudizi di chi non è degno di capire: sempre meglio bruciare dall’interno.
Infine, il vero ribelle dei sobborghi, l’hip-hopper. Ben diverso dal semplice rapper, fautore unicamente di uno stile musicale, un seguace dell’hip hop si fa carico di un intero stile di vita, portavoce della rabbia di tutti coloro che sono sempre stati sotto e che alla fine hanno deciso di far sentire la propria voce. E a raffica. Ma c’è forse da pensare che la risalita dai quartieri bassi sia stata troppo rapida, e la voce della musica nera ora (de)canta la bellezza di macchine nuove, donne super-sexy e soldi. Tanti soldi, troppi, più di quanti ce ne sarebbe stato bisogno per un riscatto onesto e pulito. Ma tutto sommato, meglio essere un M.A.G.N.A.C.C.I.A. figlio di puttana che un povero perdente a vita…

Questo, signori, il quadro generale della ribellione e delle mille opportunità che oggigiorno ci offre per affiliarci al male: una lunga e studiata lista di anticonformistiche mode che hanno sedotto, risollevato, talvolta perfino messo contro e infine rigettato alla propria – se non peggiore – condizione orde di noi giovani frustrati ed incazzati che speravamo soltanto di poter alzare la voce. Peccato che oggi, il vero obiettivo si sia però perso per strada e che invece, l’unica cosa ad essersi in realtà alzata e ad esser sopravvissuta fino a noi, sia solo l’enorme quantitativo di etichette delle quali oggi siamo schiavi.
Questo, signori, il quadro generale della ribellione e del suo fallimento.