mercoledì 29 ottobre 2008

Stanchezza cronica

La notte. Per alcuni, l’inizio di una seconda vita, quella vera, all’insegna degli eccessi e delle trasgressioni.
Per molti altri, semplicemente la fine di un’estenuante giornata, la vita ordinaria, quella onesta e quotidiana che ti nobilita e ti prosciuga. Una breve pausa dal fatale ciclo, in attesa di ricominciare.
Ma da un po’ di tempo, per lui, la notte era diventata qualcosa di diametralmente opposto: altro che ricominciare, ogni volta alla fine del ciclo, quando infine andava a dormire, ormai il suo ultimo pensiero era solo quello di potersi non risvegliare l’indomani mattina.

Non si trattava di una forte depressione, dovuta a chissà quale smacco della sorte, e nemmeno si potesse dire avesse già noia della vita. Era semplicemente stanco. Di una stanchezza ormai cronica, una sorta di regolare indolenza che andava trascinandosi dalle prime ore del risveglio, per tutte quelle poi a venire. E allora, di fronte a ciò, perché non – semplicemente – dormire?...

Del resto, che altre fare quando si è così profondamente stanchi?
Tanto da non avere più nemmeno le forze con cui riuscire ad affrontare le fatiche e le battaglie di sempre, per via di quell’intimo timore, quella fondamentale consapevolezza, che tanto sarà tutto inutile.
Così tanto, da non riuscire ad assaporare per davvero neppure le più piccole e le più grandi gioie, diffidandone per via di quell’intimo timore, quella fondamentale consapevolezza, che tanto sarà tutto futile.

Probabilmente è la stessa fugacità della nostra natura ad evidenziare l’ironica inutilità di tutto questo arrabattarci, tutto questo darci da fare – nel bene e nel male – secondo parametri da noi stessi costruiti, per un così breve periodo che invece non sappiamo nemmeno perché ci sia stato davvero concesso. Un tempo, per lui, questi dubbi erano assopiti dalla curiosità: un’innata curiosità e provvidenziale fiducia per tutto quanto in – misterioso – programma per l’avvenire; ma la consapevolezza, quand’anche ancora semplicemente un tarlo, una volta lì, non può essere ignorata per sempre: ed ecco che angoscia ed inquietudine presero il sopravvento. E a che serviva più, ormai, continuare il ciclo, una volta che se n’erano capito l’artificioso trucco e minate le fondamenta?

Di accelerarne la chiusura, di decidere lui il finale, però, ad ogni modo non se ne parlava, e comunque la si rigirasse, questo era dovuto alla paura: se l’avesse fatto, si sarebbe comportato da vigliacco, perché avrebbe dimostrato di non aver avuto il coraggio di arrivare fino in fondo, di sfruttare a pieno, quel – seppur misterioso – periodo concessogli; ma se anche al contrario non l’avesse fatto, state pur certi che non sarebbe stato per coraggio ed eroismo, ma perché comunque un vigliacco, che malgrado tutti i dubbi e le angosce per l’ora, ne nutriva in realtà di ben più gravi per il dopo
Fuori dal fittizio circolo vizioso dell’esistenza umana, solo per ritrovarsi invischiato in quello tortuosamente reale della sua mente. E allora, di nuovo, perché di fronte a ciò, non – semplicemente – dormire?...

Dormire. Come un’Antica ed intrinseca divinità che aveva mangiato la foglia e che s’era ribellata all’inganno; come qualcuno che, sì, finalmente ora dormiva, ma di un dormire che non è sonno, ma è morte; ma una morte che per fortuna non è eterna, ma ch’è semplicemente attesa. Attesa per prendersi il giusto tempo per poter capire; attesa di tempi migliori: quando le stelle brilleranno di una luce rinnovata, illuminando le cose sotto una nuova prospettiva, che permetterà finalmente di capire che…

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